« Il
tempo ti consolerà: non è più niente chi muore »
Con queste alate parole, Alcesti, la moglie devota resa
immortale dal genio di Euripide, saluta il marito, cui si sacrifica per donargli
la vita. In effetti sarà salvata da
Ercole come vedremo, ma il gesto resta ad esempio di una grande virtù muliebre.
Ma andiamo per gradi seguendo dall’inizio la trama della
famosa tragedia che, sull’esempio di Eschilo,
si compone di :
un Prologo che da inizio alla rappresentazione;
un Parodo che introduce il coro,
gli Episodi, la parte
dialogante degli attori;
gli Stasimi, che servono
a separare i tanti episodi.
Il prologo ci racconta che, quando Zeus uccise Asclepio, figlio di Apollo, come punizione per aver egli osato
resuscitare i morti con il suo talento medico,
Apollo per vendetta massacrò i ciclopi,
che avevano forgiato i fulmini di Zeus e per questo fu condannato dagli altri dei ad una pena
particolare: sarebbe dovuto diventare per nove anni il servitore di un umano e
scelsero come suo temporaneo “padrone” Admeto,
re di Fere in Tessaglia e figlio del
re Fere, da cui la città prese il
nome. Admeto era noto per la sua
ospitalità e per il suo senso di giustizia, sulla quale io nutro dei
forti dubbi esaminando come si svolsero i fatti raccontati da Euripide.
Apollo, divenuto
dunque il pastore e lo stalliere di
Admeto, venne così colpito dalla sua generosità che lo premiò
rendendo gemellari tutti i parti delle sue mucche. Quando poi Admeto chiese
a Pelia, re di Iolco, la mano della figlia Alcesti,
la protagonista della tragedia, si sentì rispondere che avrebbe potuto sposarla
solo se fosse riuscito ad imbrigliare in una biga un cinghiale ed un leone. Cosa impossibile
per un umano! Ma Apollo intervenne ancora una volta rendendo possibile
l’impresa. Admeto così riuscì a sposare Alcesti e qui la storia sarebbe potuta
terminare, ma la fantasia degli antichi
greci non aveva confine e il politeismo del tempo consentiva agli umani di
interagire con gli dei, che di essi condividevano le passioni: l’amore, la
gelosia, la vendetta. Così la storia continua, anzi, come vedremo, la tragedia
vera e propria deve ancora cominciare. Accanto ad Admeto c’è sempre Apollo che
vigila sulla sua sorte come quando persuase la sorella Artemide a perdonarlo per una grave mancanza. Durante il matrimonio
il re si era infatti dimenticato di “sacrificare” ad Artemide e la dea si vendicò facendogli trovare la
casa e il letto nuziale invaso dai serpenti. Solo per l’intercessione di Apollo,
Artemide si convinse ad annullare il
sortilegio.
Ma l'aiuto più
grande che Apollo diede ad Admeto fu di persuadere le Moire a rimandare il giorno della sua morte.
Le Moire erano
infatti la personificazione del
destino ineluttabile dell’uomo e il loro compito era tessere il filo del fato
di ogni individuo, svolgendolo ed infine
recidendolo segnandone la morte. Apollo fece ubriacare le Moire, e
queste accettarono il rinvio della fine di Admeto se questi fosse stato in grado di
trovare qualcuno che morisse al suo posto. Admeto credette inizialmente che uno
dei suoi anziani genitori sarebbe stato lieto di prendere il posto del figlio,
ma così non fu. Quando questi non si mostrarono disponibili, fu sua moglie
Alcesti a scegliere di morire al suo posto.
Così, quando giunge Thanatos
(la personificazione della morte), Apollo avendo tentato inutilmente di evitare la triste fine della
donna, si allontana dalla scena, lasciando la casa immersa in un silenzio
angoscioso.
Si apre così il Parodo e con l'ingresso del coro dei
cittadini di Fere, comincia la tragedia
vera e propria: mentre i coreuti piangono per la sorte della regina, una serva
esce dal palazzo per annunciare che Alcesti
è ormai pronta a morire. La regina in preda
alla commozione per la sorte della sua famiglia, appare direttamente
sulla scena per pronunciare le sue ultime parole: saluta la luce del sole,
compiange se stessa, accusa i suoceri, che egoisticamente non hanno voluto
sacrificarsi, e consola il marito.
Nel frattempo arriva sulla scena Eracle, intento in una delle dodici fatiche, per chiedere ospitalità. Admeto lo accoglie con la
solita gentilezza ma, non riuscendo a
dissimulare la propria afflizione,
finisce per spiegargliene il motivo.
Racconta all'eroe che è morta una donna che viveva nella casa, ma non gli dice
che era sua moglie per non metterlo a
disagio. Intanto sopraggiunge Fere,
il padre di Admeto, portando in dono una
veste funebre. Il re lo respinge contrariato, accusandolo di essere il
colpevole della morte della moglie, ma si sente accusare (giustamente secondo
me) di essere solo un codardo.
A
questo punto il Coro esce di scena concludendo
la sezione più propriamente "tragica" dell'opera. I successivi Episodi ci mostrano un servo che
si lamenta del comportamento di Eracle, il quale, ignorando la situazione, si è perfino ubriacato, ma
quando lo schiavo decide di rivelare a Eracle la verità e cioè che la donna morta, in realtà, è la moglie di
Admeto, l'eroe, fortemente scosso e pentito del suo comportamento, decide di scendere
nell'Ade per riportarla in vita. Dopo il terzo Stasimo, contenente un elogio di Admeto e
Alcesti, Eracle ritorna con una donna velata, fingendo di averla
"vinta" a dei giochi pubblici. Admeto, inizialmente, ha quasi orrore
a toccarla ignorandone l’identità, e acconsente a guardarla solo per compiacere
il suo ospite. Tolto il velo, si scopre che la donna è Alcesti, ora restituita
all'affetto dei suoi cari. Eracle spiega che però non le è consentito parlare
per tre giorni, il tempo necessario per essere "sconsacrata" agli
inferi. Con questa limitazione che mette in luce il carattere solenne e religioso del ritorno
dalla morte e tale da non consentire un
immediato nuovo contatto tra mondi lontani, finisce la tragedia di Euripide ed
interpretarne il messaggio assiologico
non è cosa semplice. Forse ha voluto sottolineare il sacrificio di una donna, un fatto nuovo
per quei tempi in cui erano considerati eroi solo gli uomini che morivano in
battaglia o forse avrà voluto esaltare il ruolo
femminile nel suo significato più
altamente morale: la madre che dona la vita e, come tale,capace di sacrificare
se stessa per il bene della comunità. Certo è che il mondo dell’antichità ci
affascina ancora pur nella complessità della trama delle sue opere, che nulla
hanno da invidiare ai libretti dei nostri attuali melodrammi.